PICCOLE DONNE

In un mondo diviso in schieramenti contrapposti, dalla civil war tra fan del MCU e gli irriducibili sostenitori del DCEU al conflitto intellettualoide tra nolaniani e anti-nolaniani, c’è una certezza che accomuna gli spettatori di ogni fede cinematografica: che oggigiorno si finanziano troppi remake, sequel, trasposizioni e live-action e i film-maker non hanno più idee. Insomma, perché dovrebbe interessarci nel 2020 l’ennesima trasposizione di un classico dell’800, che per di più viene dopo la celeberrima e amatissima versione del 1994 con Winona Ryder e Christian Bale? Per esempio, perché non si limita ad essere una rilettura del romanzo di Louisa May Alcott, ma anzi nelle mani di Greta Gerwig il racconto “di piccoli piaceri domestici” si trasforma in una riflessione sul ruolo delle donne nella società, valida oggi quanto nell’America post guerra civile. 

Dalla storia coming of age di Meg, Jo, Amy e Beth la regista prende solo quello che le interessa davvero, concentrandosi su Jo, la più intraprendente e fuori dagli schemi, e sovrapponendola alla vera storia della sua creatrice: entrambe scrittrici, entrambe insofferenti al ruolo che gli impone la società, entrambe determinate a non lasciare a un uomo il compito di definirle. È nella battaglia di Jo per affermarsi e far venire riconosciuto il suo talento il vero cuore del film ed è suo il punto di vista che ci accompagna dall’inizio al finale (apparentemente) “mercenario”, di cui è assoluta protagonista.

In questa versione in realtà ognuna delle sorelle March (o quasi) è forte, piena di talento e consapevole di sé e sebbene le loro inclinazioni le portino a percorrere strade diverse, ognuna di loro fa la sua scelta in completa autonomia e si confronta poi con le conseguenze. Invece di seguire un ordine cronologico la storia saltella avanti e indietro nel tempo e pone faccia a faccia le fantasie infantili con la dura realtà della vita adulta, mostrando tutta la determinazione delle protagoniste, ma anche le loro fragilità, dando più sostanza a quella che a una prima occhiata potrebbe sembrare come una facile lezione di femminismo. Se oggi è così facile empatizzare con il percorso di Jo, con l’idea che l’amore non è l’unica cosa per cui è fatta una donna, il film della Gerwig ci ricorda che è anche giusto che una donna sia libera di scegliere l’amore, senza che questo la sminuisca o la stigmatizzi.

Una versione così personale, attuale e fresca di Piccole donne è l’esempio perfetto di come un remake nato con i giusti presupposti non sia necessariamente una riproposizione visivamente più accattivante di un vecchio classico, ma anzi nelle mani giuste può acquisire nuova vita e arricchirsi di punti di vista inediti. 

Valentina Buggè

24 anni, disegnatrice compulsiva, negli ultimi anni la mia passione per il fumetto e l'animazione si è estesa al cinema in tutte le sue forme. Laureata in architettura, il mio sogno nel cassetto è specializzarmi in scenografia. Nel frattempo, divido le mie giornate (e quando serve le nottate) tra plastici, film e manuali di cinema email : [email protected]

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