TENET

Christopher Nolan è un prestigiatore.
Nel bene e nel male.
Con la pandemia globale in corso, è solo un Bene che TENET, la sua nuova creatura, abbia creato tanto hype.
In poche ore già se ne parla: chi lo idolatra e chi lo snobba. Non potrebbe essere altrimenti, con questo volpone di regista. In un ventennio scarseggiante di nuovi Autori nel Cinema, lo scaltro autore inglese ha scardinato varie regole dell’altalenante Hollywood, da quel Memento (2001) che stupì tutti (e dopo un “film di passaggio” quale Insomnia), si è fiondato alla Warner per resuscitare il buon vecchio Batman. Conosciamo tutti gli esiti: incassi stratosferici e meritati, per una trilogia di film che (tra alti e bassi) ha fatto risplendere il “cinecomic” come forma di commercio e d’arte.
Se il botteghino premia, lo fa anche il pubblico, in continua attesa di una nuova pellicola del “genietto”, abile a coniugare il gusto delle masse con la sua poetica.
E si sa, rischiare con “film personali” è un azzardo: lo ricordano Inception (con il suo intricato viaggio tra sogni e realtà) ed Interstellar (che scomoda teorie “etico-spazio-temporali” più grandi di noi).
Non sono mancate divisioni: chi li idolatra (e il tempo ha dato loro ragione), chi li snobba, accusando Nolan di “eccessiva macchinosità”.
Ma nel bene o nel male, basta che se ne parli.
Che la gente corra al Cinema.
E mai quanto ora, Tenet è necessario: la Sala ne ha bisogno. La gente ne ha bisogno. Era compito di Nolan riportarci in Sala? Ricordare il valore del riunirci e condividere l’ esperienza del Grande Schermo?

Chissà.
Eppure è qui.

Discutere la trama, a poche ore dalla visione, sarebbe un azzardo, oltreché stupido. Non che sia “complessa”; in fondo, non è che una “re-interpretazione” di una spy-story alla “James Bond”, con eroe (John David Washington), donna in pericolo (Elizabeth Debicki) e villain assetato di potere da fermare (Kenneth Branagh).
Il “problema” è ciò che vi è intorno.
Tenet è parte di un’antica iscrizione latina su pietra dal significato sconosciuto, con cinque parole (SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS) che compongono a loro volta una rete di palindromi: il Quadrato del Sator (nome del villain). Il Tenet, McGuffin di hitchockiana memoria, è una tecnologia che consente agli oggetti di invertire la loro entropia e di spostarsi indietro nel tempo, grazie all’inversione del flusso temporale.
Quanto ama Nolan la distorsione dello spazio-tempo!
Dallo “scorrere all’indietro” in Memento, ai viaggi tra sogni e ricordi (e traumi) de Inception, fino alla distorsione (fisica ed emotiva) di un rapporto tra padre e figlia in Interstellar.
In base alla “magia” del Sator (le parole hanno lo stesso significato, che le si osservi da destra a sinistra o dall’altro in basso), il regista crea il suo 007, mescolandolo ad un “cubo di Rubik”, separando il suo mondo in due parti: in essi, lo spazio non muta (come il Quadrato), ma se da un lato il tempo scorre al naturale nell’altro va a ritroso, aprendo porte d’accesso a vari tentativi di modificare eventi del passato (e forse tragedie future).
In questa (folle) avventura, Nolan sfoggia il solito comparto tecnico d’eccezione, già di per sé meritevole del Grande Schermo.
Egli non ha mai amato la CGI invasiva e non si tradisce neanche stavolta, sfruttandola affinché lo “guidi” nel realizzare il suo sogno: “montare al contrario” le immagini in scorrimento.
Lo stupore c’è, in una messa in scena al cardio palma nelle sequenze più tese (Nolan ama il noir), cullate dalla fredda fotografia di Hoyte van Hoytema (sue le gelide luci del magnifico Lasciami Entrare). Tanto aiuta il montaggio di Jennifer Lame (ha curato Hereditary e Storia di un matrimonio), che restituisce grazia a carrellate e a panoramiche magistrali, ottenute grazie al formato IMAX del quale il regista è ormai un “discepolo”. Il meglio arriva nei momenti action, ai quali fa da cornice l’intensa soundtrack di Ludwig Goransson, degno sostituto di Hans Zimmer: i brividi scorrono, tra assalti all’Opera di Kiev (prologo col botto), inseguimenti mozzafiato ed esplosioni mai fini a sé stesse.
Se il comparto tecnico è ineccepibile, qualche riserva c’è in sceneggiatura; più che per errori di scrittura, per la voglia di eccedere con sotto-testi e significati intricati. Che sia una (furba) scelta di marketing o una mirata scelta autoriale, è innegabile che funzioni.
Il prezzo da pagare è la confusione, per alcuni, alla prima visione; ma anche la voglia di analizzarne le sfaccettature (a più visioni): in quanti prima conoscevano il Quadrato del Sator (esclusi studiosi della materia)?
I temi trattati sono molti: dallo spionaggio segreto al traffico illegale di strumenti di morte, finanche a sotto-trame drammaturgiche, quali un legame sofferto e spezzato tra marito e moglie (Branagh/Debicki) e il desiderio di potere (e redenzione) sull’umana specie, tramite l’(auto)annientamento (Branagh).
Pur non togliendo nulla alle performance attoriali (Washington posato, Robert Pattinson divertente, Debicki in parte e simpatica comparsa di Michael Caine), chi ruba la scena è proprio lo “shakespeariano” Branagh: il suo villain è glaciale, mono-espressivo in apparenza, ma profondo con un solo sguardo degli occhi. Un vecchio stanco, ferito, follemente e drammaticamente lucido, che porta con sé il peso degli errori umani. E dunque, in perenne desiderio di “ripulire” il mondo da una razza (la nostra) fallace e al capolinea.
E quale miglior “antidoto” se non il Tenet? Sfruttare lo spazio-tempo, a costo di pagarne un amaro prezzo?
Oltre ai temi, il film accavalla più sottogeneri: dallo spionaggio all’ action, dal dramma intimo al war movie. Mantenerne le redini è complesso e per quanto Nolan abbia il polso duro, è impossibile soddisfare (subito) tutto il pubblico.
Trarre conclusioni su Tenet non è semplice per ora: il tempo, le discussioni tra i fan (e non) e tra amanti del Cinema … quelle ci diranno se il film è riuscito o no.

Che si ami o si odi, si è ancora qui a parlare di lui: Christopher Nolan.
E delle sue “piccole/grandi” innovazioni nel cinema.
Una cosa è certa: le emozioni non mancano e la magia della Sala è tornata a splendere, in questo mondo disgraziato, distrutto dal Covid e forse realmente “al capolinea”.

Eppure, sognare ancora un po’ non fa male.

Viva Tenet. E viva Nolan.

Daniele Fedele

Mi chiamo Daniele FEDELE, ho ventisei anni e possiedo due lauree: una di fascia triennale in “Discipline delle Arti Visive, della Musica, dello Spettacolo e della Moda” e un’altra “completa” in “Scienze delle Arti Visive e della Produzione Multimediale”. Oltre ad un’esperienza come “addetto alla supervisione” presso la Biblioteca Comunale “Francesco Morlicchio” di Scafati (SA), dove risiedo, per un anno ho frequentato il Master di I livello in Cinema e Televisione presso l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, che mi ha consentito di iniziare un periodo di stage presso la MAD ENTERTAINMENT, che tanto ammiro per aver rilanciato l’animazione come genere e forma d’arte cinematografica in Italia. Seguo l’arte del cinema e dell’audiovisivo dall’età di sei anni, sono grande appassionato di tutto ciò che riguarda la settima arte, la musica, i videogiochi e in generale ogni elemento simile che colpisca ed arricchisca l’animo umano. Per quanto piena di ostacoli e sacrifici, non potrei cambiare la mia passione con nessun’altra: vivrei un’esistenza di stenti e rimpianti, in tutt’altro settore. Mi diletto anche nell’editing video da autodidatta e ambisco a diventare regista, sceneggiatore e/o montatore per l’audiovisivo. Per qualsiasi piattaforma. Tra i miei miti “cinematografici” ci sono: il mio “maestro spirituale” QUENTIN TARANTINO, che mi ha fatto comprendere di dover “vivere nella settima arte” e non solo “sfiorarla”, JOHN CARPENTER come “maestro dell’orrore umano”, STANLEY KUBRICK come “maestro della forma e sostanza”, SERGIO LEONE, DAVID CRONENBERG, TIM BURTON, GUILLERMO DEL TORO, NEILL BLOMKAMP, JAMES CAMERON, DAVID LYNCH, GASPAR NOE`, il Maestro HAYAO MIYAZAKI nell’ “animazione che scalda il cuore e arricchisce l’anima”, WALT DISNEY come “insegnante dei sogni”, ISAO TAKAHATA come “animatore neorealista” e altri ancora impossibili da elencare. Grande estimatore dello STUDIO GHIBLI e del PIXAR ANIMATION STUDIOS, che tanto mi ha fatto sognare con “TOY STORY” e piangere con “INSIDE OUT”. Tra i miei miti “sonori” ho ENNIO MORRICONE, HANS ZIMMER, gli M83, i DAFT PUNK, JOE HISAISHI, HOWARD SHORE e vari artisti delle colonne sonore quali NOBUO UEMATSU, la TOKYO PHILARMONIC ORCHESTRA e altri. E come non ammirare HYDEO KOJIMA per aver innalzato il media videoludico a “forma d’arte”? 

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