LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA

È sempre un piacere quando in Italia si tenta la carta animazione, in un mercato saturo di Disney e anime. Ma l’Italia, come la Francia (mecca di quest’ arte) ha una propria identità “all’europea”: fuori dal tempo, ma affascinante. Dopo Enzo D’Alò, nessuno ha continuato ad investirvi, se non Iginio Straffi con il fenomeno tv WINX CLUB (e una serie di film), fino alla rivelazione Alessandro Rak e Mad Entertainment, vero miracolo posto nel cuore di Napoli (la Piazza del Gesù Nuovo memore del Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica). Questo team di giovani promesse ci ha donato due opere meravigliose (L’arte della felicità e Gatta Cenerentola) e, dopo aver trionfato (con quest’ultimo) ai David di Donatello 2017, ci ha lasciato una grande speranza (attendiamo il nuovo film in produzione); nel frattempo, il fumettista Lorenzo Mattioti debutta alla regia con questo LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA, tratto dall’omonimo libro di Dino Buzzati. Ed ecco la co-produzione italo-francese, condivisa col nostro Nicola Giuliano della Indigo Film (fidato nome dietro i film di Paolo Sorrentino) e un signor cast di attori a doppiare (Toni Servillo, Corrado Guzzanti, Antonio Albanese, Andrea Camilleri buon’anima). La fusione di due mondi (francese e italiano) è evidente dallo stile: paesaggi vivaci, colori caldi e pennellati sono di casa nostra e non si può che pensare proprio a D’Alò e ai suoi “furti” dalle fiabe (è amante del cinema per i piccoli). Lo stile dei personaggi è tipico dei disegni francesi, con punti neri al posto degli occhi e movimenti a tratti leggiadri, che rimandano a numerose serie televisive dei primi anni duemila. La vera sorpresa sta nei giochi d’ombre realizzati sui volti degli orsi, talmente profondi da spacciarli per creature in CGI … ma è tutto “disegno a mano”. Uno spettacolo per gli occhi che “svecchia” il disegno tradizionale, troppo accantonato dal cinema.  La forza del film sta nel mischiare la fiaba classica ad un racconto socio/politico, a portata di bambino. Orsi e umani sono divisi in fazioni: i primi vogliono sopravvivere, i secondi, ingenui e tendenti a depredare, li buttano giù come nulla (guidati da un re despota, come da “tradizione favolesca”). In più, il re degli orsi è “orfano” di un figlio perduto e il dolore lo spinge ad una forza superiore. Mattiotti divide il racconto in due parti, quasi a filtrarlo da più punti di vista. Accettato che gli orsi parlano (è pur sempre una fiaba), si tende a tifare per loro, perché, da non umani, sono più saggi e di cuore puro. In effetti, come tifare per esseri stupidi, viscidi e traditori quali gli umani? Le violenze inflitte agli animali sono crudeli (un certo “gatto – demone” lo dimostra), ma ad ogni azione c’è una conseguenza e le bestie sanno come farsi giustizia. Eppure, quando crediamo che la narrazione vada dove è più comodo, ecco che tutto cambia nel secondo tempo e una grande lezione viene impartita al pubblico. Il regista ci ricorda che non esistono “squadre” nel mondo, ma un tutt’ uno tra natura e esseri viventi; il bene e il male non sono fazioni ed è da stolti condannare o salvare per “simpatia”. Sentimento che si rivolta contro lo spettatore, che ha amato gli orsi, per ritrovarseli “umanizzati”, privati del loro essere e divorati dal nostro vizio peggiore: il potere.  Il film distrugge l’idea “banale” del “gioioso vivere” tra uomo e animale, ci dice chiaro e tondo che la coesione di una società civile, non può esistere se si mette sé stessi davanti a tutti. Anzi, tradendo le promesse di pace e armonia quanto i propri simili per puro egoism. Gli orsi, insomma, diventano metafora dell’uomo e di tempi, mai tramontati, nei quali la speranza viene accantonata per continuare a declassare noi stessi in “serie A” e “serie B”. 

In favore degli interessi di pochi.

Non è una “lezioncina marxista”: è un dato di fatto.

Non ci sono solo orsi buoni, ma anche qualcuno in cattiva fede. E non ci sono solo umani cattivi e stolti, ma anche qualcuno (il mago De Ambrosiis) che può sbagliare, per paura, ma da essa carpirne una lezione, oltreché saggezza e lealtà.

Tutti parte di un disegno comune che è la vita

E alla fine, Mattiotti ci ricorda che la natura intrinsa in noi viene sempre a galla e non resta che accettare le conseguenze degli errori, in attesa e speranza di un tempo e di un mondo migliore. Speranza che, nonostante tutto, può sempre rivivere. Anche in una fiaba rivolta ai bambini: gli adulti del domani, che forse non sbaglieranno più. Si rimprovera un po’ di ritmo in calo nella seconda parte e un finale un po’ frettoloso, ma visto il target (famiglie), non è così grave.

Gradevole.

Daniele Fedele

Mi chiamo Daniele FEDELE, ho ventisei anni e possiedo due lauree: una di fascia triennale in “Discipline delle Arti Visive, della Musica, dello Spettacolo e della Moda” e un’altra “completa” in “Scienze delle Arti Visive e della Produzione Multimediale”. Oltre ad un’esperienza come “addetto alla supervisione” presso la Biblioteca Comunale “Francesco Morlicchio” di Scafati (SA), dove risiedo, per un anno ho frequentato il Master di I livello in Cinema e Televisione presso l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, che mi ha consentito di iniziare un periodo di stage presso la MAD ENTERTAINMENT, che tanto ammiro per aver rilanciato l’animazione come genere e forma d’arte cinematografica in Italia. Seguo l’arte del cinema e dell’audiovisivo dall’età di sei anni, sono grande appassionato di tutto ciò che riguarda la settima arte, la musica, i videogiochi e in generale ogni elemento simile che colpisca ed arricchisca l’animo umano. Per quanto piena di ostacoli e sacrifici, non potrei cambiare la mia passione con nessun’altra: vivrei un’esistenza di stenti e rimpianti, in tutt’altro settore. Mi diletto anche nell’editing video da autodidatta e ambisco a diventare regista, sceneggiatore e/o montatore per l’audiovisivo. Per qualsiasi piattaforma. Tra i miei miti “cinematografici” ci sono: il mio “maestro spirituale” QUENTIN TARANTINO, che mi ha fatto comprendere di dover “vivere nella settima arte” e non solo “sfiorarla”, JOHN CARPENTER come “maestro dell’orrore umano”, STANLEY KUBRICK come “maestro della forma e sostanza”, SERGIO LEONE, DAVID CRONENBERG, TIM BURTON, GUILLERMO DEL TORO, NEILL BLOMKAMP, JAMES CAMERON, DAVID LYNCH, GASPAR NOE`, il Maestro HAYAO MIYAZAKI nell’ “animazione che scalda il cuore e arricchisce l’anima”, WALT DISNEY come “insegnante dei sogni”, ISAO TAKAHATA come “animatore neorealista” e altri ancora impossibili da elencare. Grande estimatore dello STUDIO GHIBLI e del PIXAR ANIMATION STUDIOS, che tanto mi ha fatto sognare con “TOY STORY” e piangere con “INSIDE OUT”. Tra i miei miti “sonori” ho ENNIO MORRICONE, HANS ZIMMER, gli M83, i DAFT PUNK, JOE HISAISHI, HOWARD SHORE e vari artisti delle colonne sonore quali NOBUO UEMATSU, la TOKYO PHILARMONIC ORCHESTRA e altri. E come non ammirare HYDEO KOJIMA per aver innalzato il media videoludico a “forma d’arte”? 

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