JUDY

Una rinata Renée Zellweger ritrae un’icona immortale della storia hollywoodiana negli anni del suo drammatico tramonto.

I biopic sono sempre una costante della corsa ai maggiori premi della stagione cinematografica. Grandi personaggi del mondo scientifico, figure controverse della politica internazionale oppure iconici protagonisti dell’intrattenimento: a ogni edizione degli Oscar concorre almeno un film che appartiene a queste categorie. Negli ultimi anni, però, si assiste a una strana tendenza di Hollywood – e non solo – di mettersi in discussione ripercorrendo le vite di alcuni personaggi che ne hanno segnato la storia con tutti i loro alti e bassi. Judy Garland è l’ultima personalità sui cui si puntano nuovamente le luci dei riflettori. L’ultima fatica del regista Rupert Goold, Judy, con una struttura semplice ed efficace arriva nelle sale italiane contando già su due candidature ai prestigiosi Academy Awards.

Reduce dalle delusioni sia nella vita privata che professionale, Judy Garland (Renée Zellweger) nel 1968, in un inverno freddo di emozioni e sentimenti, si prepara a un ritorno in scena in grande stile, con una nuova serie di spettacoli nei maggiori locali londinesi. La grande fama dell’attrice e cantante assicura il tutto esaurito e garantisce un successo. La vita però di un’artista fragile con un animo in bilico tra le sue mille insicurezza non può essere data per scontata.

A 16 anni dal ruolo iconico di Ritorno a Cold Mountain, Renée riporta alla luce la sua vena più drammatica attraverso un personaggio che racchiude in sé tutti i brillanti sogni e le cieche illusioni del mondo di Hollywood. Con la sua ottima interpretazione – con cui forse calca un po’ troppo le espressioni del viso – racconta Frances Ethel Gumm, prima di Judy Garland. La sceneggiatura tratta dal dramma teatrale End of the Rainbow sceglie di parlare delle fragilità della donna dietro alla maschera di perfezione, della semplice “girl next door” che una fabbrica di sogni ha scelto di costruire a tavolino. Nota dopo nota di una sofferta Somewhere over the Rainbow, si mostra agli occhi dello spettatore una storia segnata da sacrifici e pressioni, tratteggiando così una tagliente seppur poco approfondita critica nei confronti di un sistema artistico industrializzato e consumista, uno schema che scopre un talento unico e grezzo e cerca di trasformarlo in una macchina precisa, definita e sempre uguale a se stessa fino a dimenticarsene lasciandola in un angolo.

Al centro della scena rimane quindi Renée Zellweger pronta già a stringere la statuetta più ambita per un’attrice grazie a una performance solida e vecchio stampo che fa perdonare la mancanza di spazio dei personaggi secondari che forse avrebbero aiutato il pubblico a scoprire ulteriori lati del carattere e della personalità della controversa protagonista che, da sola, vale la visione.

Federica Gaspari

Cresciuta sulle rive del Lago Maggiore, dal ’95 scandisce il tempo con film, serie tv e libri. Nel tempo libero studia ingegneria ma, ad oggi, non è ancora riuscita a scoprire i segreti del flusso canalizzatore di Doc. Tra un passatempo e l’altro riesce ad assillare chiunque con teorie su Inception e ossessioni per registi e attori.

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