A star is born: amore e successo

Dopo il discreto successo a Venezia, arriva nei cinema la quarta versione su pellicola di A star is born, il mélo senza tempo che narra l’amore e la guerra dei sessi sotto le luci della ribalta, con l’esordio alla regia di Bradley Cooper e il debutto da protagonista per Lady Gaga.

Coincidenza vuole che nel 1932 nasca la Mostra del Cinema di Venezia e che nello stesso anno George Cuckor si chieda A che prezzo Hollywood?, titolo di un film tutto da riscoprire con Constance Bennett, che è appunto l’archetipo di A star is born, la cui prima impressione su celluloide è firmata da William Wellman, con Janet Gaynor nel ruolo di Esther Blodgett. Nel contempo esso è però anche il sequel ideale di Show People, film sullo star system del muto, con drammi, starlette e capricci colti sul vivo, mentre ancora gli operai infaticabili costruiscono Hollywood dal nulla del deserto.

Storia e città eterne, scandali odierni tra #MeToo trionfante ed in crisi, sorellanza tradita, produttori predatori, erano tutti, in fondo, già in quel primo script. Ci fa notare tutto ciò Piera Detassis, con occhio acuto e arguto.

La storia di questo quarto rifacimento è, bene o male, sempre la stessa, diretta nel tempo dallo stesso George Cuckor con Judy Garland nel ‘54 e poi ancora da Frank Pierson con Barbara Streisand e Kris Kristofferson nel ‘76. Cooper si rifà soprattutto a quest’ultima versione. La trama è simile: Jackson Maine (Bradley Cooper) è un musicista country-rock a cui il successo ha regalato parecchia arroganza e che ha perso la strada tra alcool e droga. Come da manuale wellmaniano, incontra la sua lei, che è considerata bruttina o anonima, comunque generalmente fuori canone. Infatti in un bar Jackson incontra Ally (Lady Gaga), che ha un enorme talento naturale ma non ha mai sfondato perché considerata non abbastanza avvenente per lo “showbiz”. Lui la ama, si scopre Pigmalione, decide di aiutarla a diventare una stella ma la relazione comincia ad incrinarsi nel momento in cui la carriera di lei decolla mentre la sua va dissolvendosi. Con alcune dovute differenze, anche il finale rientra nello schema classico di A star is born, che qui non riporteremo onde evitare spoiler, sempre che di ciò si possa parlare in questi casi.

Un’altra coincidenza riguardante Venezia 75 è che questo film, per come è costruito, sembra per certi versi rappresentare involontariamente il “gemello buono” di Vox Lux, secondo film di Brady Corbet, quest’anno in concorso al Festival, perché cerca di narrare ciò che ancora di puro ci può essere in fondo nelle persone del sopracitato “showbiz”, cosa che per Corbet è assolutamente fuori discussione.

Dal punto di vista attoriale, la prestazione di Bradley Cooper è di rilievo, ma si perde un po’ nel voler interpretare un personaggio preso tra tante, forse troppe, cose, che lo frenano e gli negano la spinta giusta che serve per entrare nel cuore della gente.

Molto interessante è invece l’interpretazione da protagonista di Lady Gaga, che dà una prova attoriale inaspettata. Questa, però, mette in luce il talento produttivo di Cooper, che cuce perfettamente su di lei il personaggio di Ally, trattando il tema delle apparenze, ancora attuale e profondamente interconnesso alla storia della cantante.

Con un occhio più tecnico, la prima parte del film è da manuale e la regia di Bradley Cooper rende tutto graffiato, fumoso, intimo, vicino ai personaggi che costruiscono la storia, senza allargare oltre, evitando che il pubblico perda di vista il punto focale del racconto. E ci riesce pur utilizzando non soltanto il linguaggio cinematografico, ma anche quello delle riprese da concerto. A tal proposito, le canzoni sono buone, ma in fondo piuttosto dimenticabili e gli arrangiamenti sembrano sempre ricordare troppo qualcos’altro.

La nota stonata di questa pellicola è, forse, la seconda parte del film, quella che cerca disperatamente di dare un senso di profondità alle bevute di Jackson, al suo percorso di autodistruzione, alla solitudine di chi crede solo a ciò che si ha da dire senza importarsene della voce, di un uomo nato sbagliato, in una famiglia improvvisata ed in un corpo rotto. Qui in alcuni momenti si rischia quasi di cadere nello “showbiz” melodramma (cosa che in Corbet non accade) ed il ritmo del film tende a rallentare. Riesce, però, in una certa qual misura a risollevarsi nel finale. Tutto ciò è per certi versi paradossale, dal momento in cui la fotografia di Matthew Libatique, storico collaboratore di Darren Aronofsky, che dà una bella spinta all’esordio registico di Cooper, sembra addirittura migliorare in questa seconda parte di film.

Ad ogni modo, il film sa lasciarsi guardare e riesce in alcuni punti a far leva, anche grazie all’aiuto delle note, sui sentimenti dello spettatore. Cooper pur rivestendo più ruoli riesce a destreggiarsi bene ma, se per una Lady Gaga attrice oltre che cantante si può abbastanza tranquillamente utilizzare il titolo E’ nata una stella come esclamazione, per la pellicola stessa, forse, bisognerebbe lasciare ai posteri l’ardua sentenza e nel frattempo aggiungervi un punto interrogativo alla fine.

 

Claudio Fabbroni

Scenografo, produttore, fotografo e caratterista: tutte cose che non sono. Classe ‘99, dicono io sia studente di Filosofia e sceneggiatore e regista a tempo perso. Ho fatto parte della giuria per l'assegnazione del premio "Leoncino d'Oro" alla 75a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, scritto e diretto qualche opera low budget e lavorato su vari set. Amo Woody Allen, Jacques Tati e Groucho Marx. Odio la critica, le recensioni, l'incoerenza e l'umorismo. [email protected]

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