5cm al secondo

Gli anni 2000 sono terreno fertile per l’animazione giapponese, forma d’arte sdoganata anche in occidente grazie al maestro Hayao Miyazaki e al premio Oscar vinto con il capolavoro La città incantata.

Tra altalenanti prodotti tv e fenomeni di costume per tutte le età (Death Note tra i tanti), quest’arte ha registrato grandi numeri ai botteghini nipponici e portato alla ribalta alcuni maestri: il compianto Satoshi Kon, amante dell’irrealismo (Paprika – Sognando un sogno, Millennium Actress o il “thriller anime” Perfect Blue); Mamoru Oshii, autore di fantascienza politica e distopica (Ghost in the shell, The Sky Crawlers): Mamoru Hosoda, maestro dell’intrattenimento per ragazzi che parla all’adulto e riflette sulle interazioni tra i singoli, a partire dal rapporto base, quello con la famiglia (Wolf Children dal punto di vista della madre, Summer Wars da quello di una collettività, The Boy and the Beast da quello di un padre e il recente Mirai da quello di un fratello verso la sorella). Infine, il compianto Isao Takahata, esponente dell’animazione come forma d’espressiva delle emozioni umane più profonde: La tomba delle lucciole è un manifesto neo-realista sulla mostruosità della guerra che annienta le vite più innocenti (i due bambini protagonisti), Pioggia di ricordi è un affresco del legame nostalgico con l’infanzia e il richiamo alla semplicità della natura, I miei vicini Yamada è un esperimento di disegno (volutamente) grezzo e a portata di bambino, ma capace di analizzare i legami altalenanti tra più membri di una “comune” famiglia; infine, La storia della principessa splendente è un immenso poema sul rapporto tra uomo e spirito, tra le prigioni mentali dell’egoismo umano e la ricerca della libertà nell’amore e nella purezza della semplicità (ancora il ritorno alla natura).

Tra tutti questi, in un momento storico in cui Miyazaki è anziano (per quanto instancabile) e il suo storico Studio Ghibli è in stand-by, come un fulmine a ciel sereno è arrivato Makoto Shinkai, da alcuni definito il vero erede di Miya-San per la passione che lo lega al suo cinema e in particolare a Laputa – Il Castello nel cielo (1986). Figura curiosa Shinkai: ha iniziato come animatore lavorando da solo, con un software, un PC e tanta voglia di esternare la propria sensibilità; dopo vari corti (tra cui il meraviglioso La voce delle stelle), ha trovato dei veri studi di produzione per passare al lungometraggio, sbagliando anche approccio (Oltre le nuvole, un insieme di troppe “sotto-storie” incapaci di formare una trama logica o Il viaggio verso Agartha, goffo tentativo di “rifare” Laputa con personaggi blandi e passaggi di trama vuoti). Dopo il mediometraggio Il giardino delle parole, è salito alla ribalta con uno dei più grandi incassi della storia sul suolo giapponese: Your Name, quasi vincitore di un premio Oscar e talmente apprezzato (e ben venduto) all’estero che già si vocifera di un live-action americano. Prima di tutto ciò, nel 2007, Shinkai aveva già fatto parlare di sé con questo 5 CENTIMETRI AL SECONDO, arrivato finalmente nelle nostre sale per tre giorni (13, 14 e 15 maggio) grazie a Dynit (vera mecca degli anime sul suolo italiano) e Nexo Digital, sempre con un vasto programma distributivo di questa grande forma d’arte (l’anime) ancora mal vista dalla nostra ignoranza (e stupidità). Tema cardine di Shinkai è l’amore, il contatto tra due estranei tanto diversi quanto simili, un rapporto che accresce e unisce entrambi (spiritualmente anche) a distanza, sia di spazio che di tempo. Memore dell’esperienza da “cortista”, l’autore analizza la storia d’amore tra Takaki e Akari scomponendola in tre episodi, tre spazi temporali: la prima adolescenza (primo episodio, con la scoperta del reciproco amore), la fine dell’adolescenza (secondo episodio) e la vita adulta (l’epilogo). Shinkai ama il disegno e lo dimostra in ogni sua opera (bella o brutta) ed è indubbio che (tecnicamente) guardi a Miyazaki: nessun’altro, a parte Miya-San, sa realizzare un’animazione così splendida, dai colori accesi e con un tratto del disegno talmente pulito, da restituirci dei veri quadri, a volte “pennellati” (si consiglia, per la fruizione home video, il formato Blu-Ray per goderne appieno). Aiutato da un montaggio “lento ma non noioso” e da “inquadrature classiche”, il regista ha tanta attenzione per ogni cosa: primissimi piani degli occhi, dettagli strettissimi e ampiezza dello spazio sono tratti di talento, quanto la voglia di creare ambienti esterni fuori dal tempo,“rubati” a grandi pitture (gli orizzonti vasti, il sole gigante e luminoso, il cielo e le nuvole limpide … tratti animati della “scuola Miyazaki”). Certo, è pur sempre uno dei primi approcci al lungometraggio e non è tutto perfetto in fase di narrazione, per quanto più elementi lascino il segno. I personaggi parlano poco, lasciando ad una voce narrante i pensieri più profondi, che ne accrescono man mano le personalità; il primo episodio è una montagna russa di silenzi, paesaggi innevati ed emozioni contrastanti di Takaki, vero protagonista: tra paura e gioia di incontrare l’amica di sempre (Akari), risalta subito l’altro tema cardine: la distanza. Il destino ha scelto per la coppia, giocando con loro: si conoscono da bambini e legano immediatamente, uniti da più punti in comune (la passione per lo studio, la scoperta, la sensibilità per i dettagli della vita che sfuggono a molti), poi la crescita li allontana (trasferimenti in nuove scuole) e solo la volontà li porta a rivedersi prima che inizi l’adolescenza, in un fugace incontro notturno tanto dolce quanto poetico (grazie alla delicata musica del compositore Tenmon). Poche battute, sguardi intensi, ambientazione sospesa dal tempo: commozione assicurata. Romantico, ma senza melassa.

Il secondo episodio si discosta dai due e da voce ad un’altra ragazza: Kanae, compagna di studio dell’adolescente Takaki e segretamente innamorata di lui; l’autore è attento a denudarne le fragilità, la ricerca di fiducia in sé stessa e il coraggio di dichiarare i propri sentimenti; qui qualche nodo viene al pettine, non perché ella sia un “terzo incomodo”, ma la narrazione si disperde un po’, complice un montaggio troppo serrato di scene e sotto-trame superflue; si entra comunque nella psiche di Takaki, tanto “bello” agli occhi di tutti quanto fragile nell’intimo, alla ricerca di quell’emozione provata con Akari quella notte innevata. Non mancano rimandi di Shinkai al suo “universo”: si intravede un razzo, pronto ad essere lanciato nello spazio (rimando all’atmosfera sci-fi de Oltre le nuvole). Ciò avviene, in un momento di grande cinema animato: la scia lasciata dal razzo attraversa un vastissimo cielo e sembra “tagliarlo”. Ciò ci rimanda ad un flashback d’infanzia di Takaki: un incontro nostalgico con Akari alla vista di una gigantesca luna, in lontananza, “tagliata” in due da un’altra scia.

Il “taglio” rappresenta la separazione dei due, la distanza del ragazzo dal mondo “normale” in continua ricerca di un passato che non c’è (e non può esserci) più. Kanae lo capisce: non potrà mai far parte della sua vita e accetta di farsi da parte, trovando così quella fiducia che, impacciatamente, sembrava non avere. Pur con tristezza, lascia andare il ragazzo, non potendo immaginare di legarlo a sé e di farlo soffrire.

La più grande prova d’amore.

E poi c’è l’epilogo, la vita adulta che riserva i peggiori esiti: una vita “comune”, un lavoro “comune”, una casa piccola e “comune” e la solitudine “comune” di ogni uomo in una grande città “avanzata”. La voce narrante riecheggia, a mettere a nudo il vuoto di Takaki, bloccato in un’esistenza che non gli appartiene, con rapporti falliti e la gioia dell’adolescenza svanita.

La fine del suo grande amore.

Eppure, Shinkai non ne esalta tragedia, perché la vita va avanti. E l’amore non finisce mai.

Basta un ultimo sguardo, quasi per caso, con quella donna amata intravista un giorno qualsiasi … e ricordare. Takaki e Akari, ormai divisi, non riusciranno a guardarsi, perché il destino li schiaffeggia ancora: un treno, nuova “scia tagliente”, li dissolverà. Quel sogno, ora illusione e “trappola”, si dissolve con loro. E a Takaki non resta che sorridere, riappacificandosi con sé stesso e ricordando quell’amore che l’ha formato. Quel ricordo, ora, sarà da sprono per accettare il destino e andare avanti. Un epilogo che può non piacere, ma più reale di quanto si pensi; a volte può esserci un “disegno” più grande per noi e non sappiamo dove il tempo possa portarci: o ci abbandoniamo alle onde per sbattere … o nuotiamo in esse lasciandoci cullare, senza mai distrarci.

Imperfetto, ma ammaliante.

Daniele Fedele

Mi chiamo Daniele FEDELE, ho ventisei anni e possiedo due lauree: una di fascia triennale in “Discipline delle Arti Visive, della Musica, dello Spettacolo e della Moda” e un’altra “completa” in “Scienze delle Arti Visive e della Produzione Multimediale”. Oltre ad un’esperienza come “addetto alla supervisione” presso la Biblioteca Comunale “Francesco Morlicchio” di Scafati (SA), dove risiedo, per un anno ho frequentato il Master di I livello in Cinema e Televisione presso l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, che mi ha consentito di iniziare un periodo di stage presso la MAD ENTERTAINMENT, che tanto ammiro per aver rilanciato l’animazione come genere e forma d’arte cinematografica in Italia. Seguo l’arte del cinema e dell’audiovisivo dall’età di sei anni, sono grande appassionato di tutto ciò che riguarda la settima arte, la musica, i videogiochi e in generale ogni elemento simile che colpisca ed arricchisca l’animo umano. Per quanto piena di ostacoli e sacrifici, non potrei cambiare la mia passione con nessun’altra: vivrei un’esistenza di stenti e rimpianti, in tutt’altro settore. Mi diletto anche nell’editing video da autodidatta e ambisco a diventare regista, sceneggiatore e/o montatore per l’audiovisivo. Per qualsiasi piattaforma. Tra i miei miti “cinematografici” ci sono: il mio “maestro spirituale” QUENTIN TARANTINO, che mi ha fatto comprendere di dover “vivere nella settima arte” e non solo “sfiorarla”, JOHN CARPENTER come “maestro dell’orrore umano”, STANLEY KUBRICK come “maestro della forma e sostanza”, SERGIO LEONE, DAVID CRONENBERG, TIM BURTON, GUILLERMO DEL TORO, NEILL BLOMKAMP, JAMES CAMERON, DAVID LYNCH, GASPAR NOE`, il Maestro HAYAO MIYAZAKI nell’ “animazione che scalda il cuore e arricchisce l’anima”, WALT DISNEY come “insegnante dei sogni”, ISAO TAKAHATA come “animatore neorealista” e altri ancora impossibili da elencare. Grande estimatore dello STUDIO GHIBLI e del PIXAR ANIMATION STUDIOS, che tanto mi ha fatto sognare con “TOY STORY” e piangere con “INSIDE OUT”. Tra i miei miti “sonori” ho ENNIO MORRICONE, HANS ZIMMER, gli M83, i DAFT PUNK, JOE HISAISHI, HOWARD SHORE e vari artisti delle colonne sonore quali NOBUO UEMATSU, la TOKYO PHILARMONIC ORCHESTRA e altri. E come non ammirare HYDEO KOJIMA per aver innalzato il media videoludico a “forma d’arte”? 

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: