PICCOLE DONNE

Grande attesa ed enorme interesse nell’aria per l’ennesima trasposizione filmica di Piccole Donne, romanzo più famoso dell’emancipata scrittrice statunitense Louisa May Alcott, nonché una delle opere più importanti del XIX secolo, sia da un punto di vista sociale che letterario. Insieme a Jane Austen, Emily Dickinson, le sorelle Bronte e Mary Shelley, la Alcot è, senza dubbio, tra le figure più influenti e centrali, per quanto riguarda il riscatto sociale del genere femminile e questa importanza è rilevabile, prima di tutto, nella sua letteratura e nel suo capolavoro assoluto, Piccole donne, appunto – da cui sono stati tratti anche numerosi seguiti, come Piccoli uomini e I ragazzi di Jo. Pur essendo abbastanza ignorante in materia – essendo la mia conoscenza limitata all’immaginario collettivo e a ciò che si potrebbe trarre da una banalissima ricerca sul web -, anche io attendevo con trepidazione il settimo adattamento cinematografico, in ordine di uscita, dell’omonimo racconto della Alcott, soprattutto per i nomi coinvolti, incredibilmente stimati ed apprezzati dal sottoscritto. Il film narra la storia dei March, famiglia che vive nelle campagne della Pennsylvania, sullo sfondo e contesto della fine della Guerra di Secessione americana. Il padre, Robert, è un cappellano, arruolatosi volontario nell’esercito e assente da molto tempo dall’ambiente e dal nucleo familiare. La madre, Margaret – per tutti Marmee, con il padre assente, è la vera e propria colonna portante della famiglia, figura femminile estremamente amorevole, altruista e generosa. Tuttavia, il racconto si focalizza, in particolar modo, sulle relazioni e sulle vite delle quattro sorelle: Jo, Meg, Beth e Amy. Le ragazze, con i loro pregi, i loro difetti e i loro talenti, pur essendo povere e con i problemi tipici dell’adolescenza, imparano a crescere e diventare ragazze responsabili, pronte a difendersi da qualsiasi vicissitudine. Autrice e cineasta dietro alla produzione di questo settimo adattamento del libro della Alcott, Greta Gerwig aveva completamente stregato – tre anni fa – l’Academy e i cinefili di tutto il mondo con il suo Lady Bird, sua opera prima come regista e sceneggiatrice, candidata a cinque premi Oscar tra cui miglior film e miglior regia. Il primo film della Gerwig, oltre a segnare l’inizio della sua collaborazione con la giovane e talentuosa attrice Saoirse Ronan (che, in questo Piccole Donne, continua), presentava una figura femminile molto forte, energica ed estremamente ironica. Nonostante ciò, la pellicola presentava non pochi difetti – sicuramente la pellicola più debole tra quelle candidate, nel 2018, come miglior film -, risultando fin troppo banale, prevedibile e scontata, soprattutto a livello di soggetto e risvolti di trama. Come detto sopra, comunque, l’opera prima della Gerwig aveva, come forza principale, l’interpretazione ispirata ed espressiva della Ronan e, appunto, questa figura femminile molto ben caratterizzata. Con un primo film del genere, Greta Gerwig era, praticamente, la persona più adatta per dirigere questo adattamento del romanzo del 1868. E la riuscita finale di Piccole Donne sembra confermare questo pensiero. Greta Gerwig – cresciuta artisticamente in maniera notevole dai tempi di Lady Bird – spinge in alto l’asticella della qualità e della tecnica con questo Piccole Donne. Ricordando, in alcuni momenti, l’ottimo Orgoglio e pregiudizio di Joe Wright, la regia si concentra, in particolar modo, sul rendere giustizia, valorizzare e far svettare, su tutto, le interpretazioni del grandissimo e ricchissimo cast su cui il film può contare. All stesso tempo, la sua macchina da presa non disdegna campi lunghi e lunghissimi, panoramiche, arrivando, così, a livelli e risultati inediti e veramente sorprendenti, per quanto riguarda la sua filmografia. La direzione fa dei personaggi il centro e il fulcro principale di ogni sequenza, il tutto, però, in maniera estremamente armonica con l’ambientazione – magnetica, poetica e sbalorditiva – e il contesto – ricostruito a regola d’arte. Essendo il film basato, per la maggior parte, su dialoghi e confronti tra le differenti figure in gioco, sulla narrazione estremamente frammentata e letteraria (come vedremo in seguito), Greta Gerwig – assumendo qui pure il ruolo di sceneggiatrice – ha la capacità, soprattutto attraverso la sua mano e il suo modo di dirigere, di rendere interessante qualsiasi cosa esca dalle labbra di Jo, le sue sorelle, Laurie e di tutti i personaggi della vicenda. Inoltre, la scelta delle inquadrature è complice – insieme alla magnifica fotografia di Yorick Le Saux – nel rendere memorabili innumerevoli momenti, soprattutto i passaggi più conosciuti ed amati dai fan e dai lettori del classico della Alcott. Pur spingendosi raramente in acrobazie e movimenti di macchina arditi o comunque alti a livello di grammatica cinematografica, la regia di Piccole Donne si mantiene su standard molto buoni ed estremamente coinvolgenti ed intriganti sia nei confronti della vicenda che della rappresentazione stessa. Peccato che questa cura registica ed estetica dell’immagine e dell’adattamento vengano parzialmente rovinati da un montaggio, al contrario, abbastanza posticcio che distoglie momentaneamente lo spettatore da quella magia che regia, sceneggiatura ed interpretazioni vengono a creare su schermo. A parer mio, il film ha subito alcuni tagli che ne hanno inficiato lo scorrimento naturale. Una delle cause di questo montaggio abbastanza sconclusionato – che, però, dimostra un’incredibile abilità nell’utilizzo dell’alternanza -, in alcuni momenti, è da scovare, prima di tutto, nella sceneggiatura stessa che, seppur incredibilmente curata, fa delle scelte fin troppo legate alla carta stampata e al medium originario del racconto di Piccole Donne – riprendendosi soltanto con il proseguire della pellicola. “Sto lavorando a un romanzo, è la storia della mia vita e di quella delle mie sorelle”. La componente letteraria è, senza dubbio, uno dei ritornelli più frequenti all’interno della pellicola di Greta Gerwig – così come nell’opera originale di Louisa May Alcott. Come noto, Piccole Donne è un esempio di libro nel libro e di metaletteratura. All’interno del romanzo – in questo caso, del film – è proprio Jo, una delle quattro sorelle March (protagonista indiscussa, praticamente, l’alter-ego della Alcott), l’autrice del racconto Piccole Donne, una storia autobiografica sulle avventure e disavventure della sua vita e della sua famiglia. Si viene, così, a costruire una sorta di gioco delle scatole cinesi. Questa forte valenza ed elemento letterario viene ripreso e calcato moltissimo anche nella sceneggiatura di Greta Gerwig, estremamente fedele e conforme, oltre che alla storia stessa, anche alla struttura e alla sequenzialità parallela, tipicamente letteraria, degli eventi. Costruita su due linee temporali diverse e comprensiva dei fatti sia di Piccole Donne che di Piccole donne crescono, la scrittura della Gerwig è debitrice, nei confronti dell’anima e origine letteraria della storia, della divisione in capitoli, in un’alternanza continua tra passato e presente, giovinezza e maturità, tempi lieti, semplici, candidi e dolci ed altri un po’ più difficili e controversi, in cui si nota, in modo limpido, l’evoluzione di tutti i differenti personaggi. Questo andirivieni tra differenti dimensioni temporali è leggermente spaesante e confusionario all’inizio della visione, ma si interiorizza e diventa quasi naturale con il proseguire della vicenda, grazie anche al carattere espressivo della fotografia (ma non può che rappresentare uno dei difetti, seppur minimo, della pellicola). Abbiamo quindi l’accostamento di due sequenze, uguali per tema e soggetto, che presentano alcuni elementi in comune (soprattutto da un punto di vista registico e di scelta delle inquadrature), ma collocate in due differenti tempi del racconto e dello svolgersi dei fatti. Seppur complessa e caotica nei primi momenti, questa struttura permette una progressione lineare e crescente della tensione emotiva, dei vari twist e sorprese che il racconto riserva e del climax. Quindi, una rivelazione abbastanza importante, che cambierà per sempre la vita di uno o più personaggi, invece di essere presentata agli spettatori seguendo un ordine cronologico degli eventi, viene posticipata e collocata nel momento più adatto nell’economia dello storytelling e dell’intrattenimento cinematografico. Componente fondamentale della poetica cinematografica di Greta Gerwig è, come testimoniato da Lady Bird, la rappresentazione solida ed estremamente naturale della figura femminile. Se, purtroppo, nel film del 2017, questo elemento raggiungeva pieghe spesso fin troppo ripetute e forzate – finendo per rendere la pellicola quasi una sorta di propaganda femminista – in Piccole Donne non ruba spazio alla narrazione e non diventa il motore o comunque il traino emotivo dell’azione, essendo questo l’adattamento di un romanzo già di per sé rivoluzionario. Questo aspetto femminista, punto cardine già nel libro della Alcott, non stona e non risulta mai troppo forzato all’interno della pellicola della Gerwig – divenuta ormai la regista più adatta nel trasporre o, comunque, narrare storie con, come protagoniste, figure femminili forti e tenaci. Come detto sopra, il racconto e la narrazione di Piccole Donne sono veicolati e animati da innumerevoli personalità femminili, se non icone, da cui è possibile trarre numerosi discorsi ed approcci all’analisi del ruolo della donna, socialmente parlando, nel mondo di ieri in confronto all’oggi, al presente. Basti pensare solamente alle quattro sorelle – le piccole donne in questione. Abbiamo Jo, aspirante scrittrice dalla mentalità aperta ed illuminata, la più emancipata delle quattro – come dimostrano le sue scelte all’interno del racconto -, soprattutto per quanto riguarda temi come l’istruzione, il matrimonio, l’amore e l’emancipazione femminile, in famiglia e nel lavoro; Meg, ragazza dalle ottime doti attoriali che, però, vede la vita in modo abbastanza tradizionale – ideale dimostrato dalla sua vita matrimoniale; Amy, ragazza incredibilmente narcisista ed irrazionale che, allo stesso modo della sorella Meg, non vede alternativa per una donna se non sposandosi e mettendo su famiglia, accantonando una possibile carriera come pittrice solo perché, appunto, donna; e Beth, anima musicale della famiglia e sicuramente la più pura ed incontaminata delle quattro. Anche il personaggio di Marmee, la madre, è, di per sé, un’evoluzione nella ruolistica femminile del tempo, diventando, infatti, capofamiglia durante l’allontanamento del marito. Buona parte del racconto del film – così come del libro – si basa proprio sul rapporto e sull’intesa, sui rapporti, sulle differenze e sui contrasti tra le sorelle e all’interno del nucleo familiare, completato dalla nichilista e rituale zia March e da agenti esterni, che smuovono un po’ la vita delle quattro e dei loro cari, come Laurie o Friedrich, per esempio. Questo gioco, tipicamente ottocentesco e letterario, di relazione e rapporti dettagliati tra i vari personaggi viene inquadrato e portato avanti alla perfezione dal cast, per lo più femminile, immedesimato e spontaneo, assemblato da Greta Gerwig in questo nuovo adattamento. L’espressiva ed impetuosa Saoirse Ronan come Jo, l’incisivo e talentuoso Timothee Chalamet come Laurie, l’ordinaria Emma Watson come Meg, Florence Pugh – vera e propria sorpresa del film – come Amy, l’istrionica Laura Dern come Marmee, l’iconica e strepitosa Meryl Streep come zia March, Bob “Saul Goodman” Odenkirk come il sig. March. Il cast di questo Piccole Donne è, senza dubbio, l’elemento di trasporto maggiore subito dopo il soggetto della pellicola e le variegate ed eccellenti prove attoriali dimostrate e presenti si convertono, irrimediabilmente, nella componente di maggior peso e memorabilità della produzione. Drasticamente superiore, per grandezza del progetto, resa finale, qualità nella direzione e nella scrittura e cura dei vari comparti tecnici, a Lady Bird, il secondo film di Greta Gerwig, senza dubbio – visto il tema femminista trattato – sarà uno dei film con più nomination ai prossimi premi Oscar e tra i favoriti alla candidatura come miglior film. Qualcosa vincerà, soprattutto, in categorie riguardanti costumi – qui, estremamente curati e notevoli, sia per ricostruzione e ricerca storica che per realizzazione effettiva -, trucco e miglior attrice non protagonista, ma non penso possa vincere qualcosa di importante come miglior regia, miglior sceneggiatura o, addirittura, miglior film. Nonostante ciò, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. Piccole Donne del 2019 si colloca sicuramente ad un buon livello, parlando di adattamenti dell’omonimo romanzo del 1868, e si presenta al pubblico come ottimo film drammatico e di costume che, seppur con qualche pecca, regala due ore di grande cinema e di grandi emozioni. L’estetica del film, la sua cura, la sua anima e le sue atmosfere non deluderanno assolutamente i puristi dell’opera originale ed emozioneranno e stupiranno ugualmente anche coloro che, del romanzo della Alcott, conoscono ben poco. Importante anche da un punto di vista di tematica sociale e di immaginario, Piccole Donne di Greta Gerwig fa centro e rispetta le sue altissime premesse. Assolutamente consigliato, da vedere!

Nicolò Baraccani
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