Hammamet

“Mi spiace deludere qualcuno, ma la democrazia ha un costo.” Sbarca nelle sale italiane il nuovo biopic scritto e diretto da Gianni Amelio sulla figura controversa, ma ugualmente rilevante per la storia politica del Bel Paese, di Bettino Craxi. Dopo il successo di Paolo Sorrentino con Il divo – film prestigiosissimo sulla figura di Andreotti – e il suo tentativo di portare sullo schermo, non sempre riuscendoci in pieno, la duplice e sfuggevole natura di Silvio Berlusconi con Loro, questa volta, ci prova Amelio con il suo Hammamet. 1999. Dopo l’inchiesta Mani Pulite – una serie di indagini, svoltesi nei primi anni ‘90, che rivelarono un sistema fraudolento che coinvolgeva la politica e l’imprenditoria italiana – e il suo successivo declino politico; Bettino Craxi, ex Presidente del Consiglio e leader del Partito Socialista Italiano si rifugia nella città tunisina di Hammamet, mentre in patria sono ancora in corso vari accertamenti e procedimenti giudiziari nei suoi confronti. Amelio sfrutta questo breve periodo – che sarà anche l’ultimo, a causa della sua salute cagionevole – della vita del noto politico italiano, portando a compimento un ritratto preciso, complesso, dettagliato, ma estremamente naturale dell’uomo dietro al politico. All’interno della sua villa, Craxi, infatti, riceve la visita di amici, familiari ed altre figure provenienti dal suo passato intimo e politico. Trasformatosi, in pochissimo tempo, da Presidente del Consiglio a latitante, Craxi riflette sul suo passato, sul presente italiano e sulla sua eredità, su “ciò che gli altri penseranno di me”, in un biopic che assume quasi la forma di un lunghissimo ed affascinante monologo, retto completamente sulla figura e sul carisma del politico, protagonista del racconto. Tra momenti familiari, intimi, rilassati ed altri, invece, più drammatici, in cui tutto si costruisce sulla potenza e sulla validità di sceneggiatura ed interpretazioni, Hammamet di Gianni Amelio fa ciò che Sorrentino non era riuscito a compiere con il suo Loro – eccessivamente dispersivo, senza capo né coda in alcuni punti. Si delinea, perfettamente ed umanamente, una figura politica estremamente variegata e controversa, senza necessariamente turbare, scioccare o sbalordire lo spettatore, effetto su cui puntava moltissimo il regista de La grande bellezza

Dopo La tenerezza (2017), Gianni Amelio torna dietro la macchina da presa e sceglie un’impresa abbastanza rischiosa e complessa, ossia dare un ritratto quanto più umano, elaborato e naturale possibile di Bettino Craxi. Hammamet, con le sue premesse ed obiettivi alti, poteva rischiare di essere una copia carbone di Loro – film che aveva pretese elevatissime, ma falliva notevolmente nella sua elaborazione e realizzazione – o essere un tentativo riuscitissimo, come il già citato Il divo. Il lungometraggio con Favino si muove decisamente nella seconda direzione, quella migliore, a mio avviso. Gianni Amelio riesce a contenere, nel rettangolo dello schermo cinematografico, quell’imponente persona, sia a livello fisico che di peso storico, che era Craxi, dirige e valorizza, in modo assolutamente preciso e curato, un Pierfrancesco Favino semplicemente perfetto e superbo nel ruolo. Pulita, attenta, esatta, estremamente sintetica e puntuale, esteticamente significativa, la regia di Amelio rende qualsiasi inquadratura un vero e proprio quadro. In ogni singolo fotogramma, il regista riesce a raccontare qualcosa di nuovo, qualche sfaccettatura, conosciuta e non, del controverso personaggio rifugiatosi ad Hammamet. Attraverso primi piani espressivi ed eloquenti, svariate inquadrature che sono come un racconto dentro il racconto, piani estremamente simbolici e metaforici, come, per esempio, il confronto tra Fausto e Craxi nel deserto con il carro armato in relazione di rilievo, sullo sfondo. A partire dalla prima fino ad arrivare all’ultima scena, la regia di Hammamet si conferma essere un qualcosa di assolutamente memorabile, con riprese e campi che si fissano inevitabilmente nella mente e nella memoria dello spettatore. Amelio dimostra, in questa pellicola, in particolare, la sua abilità nel reggere e nel costruire piani sequenza corretti, che permettono una maggiore immedesimazione ed “entrata” dello spettatore nei fatti e nei vari passaggi della pellicola. Senza la direzione registica di Amelio, per non contare l’importanza e la fattura della sua sceneggiatura, Hammamet non risulterebbe ugualmente potente ed efficace e non lascerebbe un segno così profondo sull’immaginario e sulla memoria di chi lo guarda.

Firmata insieme ad Alberto Taraglio, la scrittura di Gianni Amelio per il suo Hammamet raggiunge livelli altissimi, da un punto di vista drammaturgico e di resa puramente filmica. Così come la regia, la sceneggiatura enfatizza ancor più l’importanza e l’influenza che la persona di Craxi ha avuto sulla politica e sulla storia italiana e lo fa in modo semplice, ma per nulla scontato, con una banalissima struttura a cerchio. Il film si chiude così come è iniziato, con una finestra rotta da un pietra scagliatale contro. Il responsabile, come deducibile, non è altri che Craxi stesso che, da bambino, si divertiva a lanciare pietre con una fionda contro le vetrate del suo collegio, un’azione che aveva come unico fine quello di lasciare un segno. Questa stessa azione, tuttavia, indica anche una rottura, un danno, una mancanza, un’assenza. Per tutta la sua vita, Craxi non ha mai smesso di scagliare pietre, di lasciare un segno e quale migliore conclusione di una finestra che si rompe, quasi a dire: “ecco, questa è la mia impronta” – conclusione che potrebbe essere anche legata allo “scossone” rappresentato dalla scelta di Fausto nel finale e da ciò che farà la figlia di Craxi, Anita. Ed è attraverso questa finestra rotta, una finestra aperta sul cuore e sulla persona, che si entra nella vita e nel ritratto che Amelio fa del “Cinghialone”, citando Vittorio Feltri. Attraverso dialoghi e confronti veramente ben orchestrati, ritmati e congegnati, aiutati successivamente da un impianto registico di tutto rispetto e momenti affidati totalmente al passo a due compiuto dalla sceneggiatura, dall’interpretazione di Favino e dalla loro armonia. Amelio, alla macchina da presa e alla penna, e Favino, vestendo i panni del politico, conferiscono una dimensione estremamente umana, scissa ma assolutamente non debitrice rispetto alla vita e al suo passato politico, del leader del PSI, un uomo che, negli ultimi giorni della sua vita, si muove tra ricordi, memorie, rimpianti, incontri inaspettati e, senza dubbio, l’imperante ed impossibilitante malattia che governa e regna le sue giornate, quasi allo stesso livello del suo pensiero e dolore politico ed intimo e soggettivo. 
Hammamet tratteggia magistralmente la figura morente di un uomo spaventato dalla mortalità e da ciò che resterà di lui nell’immaginario e nella memoria comune, di quel popolo, non gente, che egli ha governato ed amato, seppur con i molteplici scandali e finanziamenti, per tutta la sua carriera e vita politica. La riuscita, in questo senso, del film di Amelio è riconducibile, tra gli altri, alla a dir poco perfetta prova attoriale di Favino che – dopo aver abilmente interpretato Tommaso Buscetta in Il traditore di Marco Bellocchio – dimostra la sua abilità di immedesimazione e metamorfosi completa nel personaggio da interpretare. In Hammamet, Favino si autoelimina come attore, si cancella completamente, diventando Craxi, in tutto e per tutto. Le movenze, i gesti, il modo di parlare, di camminare, di esprimersi, la voce, il ritmo, Pierfrancesco Favino fa rivivere uno dei personaggi più importanti della storia del nostro paese, restituendogli quella mortalità, rendendolo comprensibilissimo da un punto di vista umano ed allontanandosi drasticamente da giudizi politici o storici di sorta, grazie anche alla trattazione, quasi shakespeariana e kafkiana che ne fa Gianni Amelio. Il film, ovviamente, non è assolutamente privo di difetti, primo fra tutti, alcune interpretazioni secondarie o comunque relegate ai bordi non proprio brillanti, come quella del giovane Luca Filippi, che interpreta Fausto Balzamo, figlio di Vincenzo Balzamo, segretario amministrativo nazionale del PSI, nonché tesoriere del PSI, conoscente e amico di Bettino Craxi; o di Claudia Gerini che, qui, interpreta l’amante di Craxi, ma lo fa in una maniera talmente scontata e tradizionale, da sembrare quasi ridondante, se confrontata con altri personaggi interpretati, in altre produzioni, dalla stessa. La pellicola, in più, potrebbe risultare fin troppo nebulosa e confusionaria a chi, sfortunatamente, non conosce i retroscena e un pochino la storia personale e politica di Craxi e del contesto italiano degli ultimi cinquant’anni del XX secolo. Il lavoro in sintonia di Amelio e Favino – arricchito dalla bellissima colonna sonora, firmata da Nicola Piovani – riesce a costruire, ad ogni modo, un monologo politico, di memoria storica, ma preferibilmente ed estremamente umano, concreto, metaforico, a tratti onirico, simbolico, significativo, ma fondalmente mortale, riportando con i piedi per terra un uomo che ha sempre visto tutto dall’alto. Un uomo – nascosto dietro al politico – come Bettino Craxi.

Nicolò Baraccani
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