La forma dell’acqua

Baltimora, 1962. Elisa è orfana, muta e abita sopra un cinema. Ha come migliore amico (e vicino) un artista di mezz’età gay che non accetta il fatto di essere invecchiato. Vive ogni giorno dando un tocco di magia e di sensualità alle piccole cose di cui si circonda. L’acqua per lei, lo capiamo sin dalle prime scene, è qualcosa che la stimola e le dà un senso di vita. Lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo dove vengono effettuati esperimenti da parte degli Stati Uniti per contrastare la Russia durante la Guerra Fredda. Ed è lì che incontra la creatura anfibia catturata e messa lì per essere studiata. Pian piano, Elisa troverà in lui qualcuno con cui comunicare tutta se stessa.

Ispirandosi a Il mostro della laguna nera (1954) di Jack Arnold e attingendo agli archetipi della fiaba, del Toro inizia a pensare a questo film sin dal 2011. L’idea era quella di girare una sorta di remake de Il mostro della laguna nera ma dal punto di vista della creatura. La Universal però rifiutò questo progetto e del Toro lo strutturò in modo diverso, conservando però il nocciolo che gli stava più a cuore: raccontare una storia d’amore tra creature diverse ma affini. Il film ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 2017 ed è candidato a ben 13 premi Oscar (tra cui Miglior Film, Miglior Sceneggiatura originale, Miglior Regia e Miglior Attrice protagonista).

Ma al di là dei vari riconoscimenti e premi, The Shape of Water è una poesia visiva che morbidamente e melodiosamente scorre davanti agli occhi dello spettatore, con le sue tonalità sfumate sul verde e sul blu e con l’attenzione all’importanza del linguaggio. Elisa non parla ma la sua vita è il contrario del silenzio: ogni cosa che tocca vibra di suono e lei stessa fa vibrare gli altri che scoprono di avere una vera voce, quella interiore. La sua storia con la creatura non appare per nulla insolita o strana. Sono due anime affini, con corpi desideranti e occhi capaci di vedere in profondità. Il dio dell’Acqua ama e si fa amare dalla Principessa senza voce, trasportando e facendosi trasportare a sua volta dalla bellezza della natura e dalla soavità della musica. Rendendo le cicatrici un portale magico per una nuova vita in fondo al mare, del Toro ci incanta e ci illumina con un film che riempie il serbatoio di emozioni dello spettatore, ricordandoci che, anche se la vita ha spesso un sapore amaro, si possono scoprire modi alternativi con cui addolcirla. Modi che a volte hanno una forma e a volte no, perché sono ovunque intorno a noi.

 

 

 

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