Smallfoot

 

In un remoto villaggio alla fine del mondo, le serene giornate di una comunità di yeti vengono disturbate dalle insistenti voci sulla reale esistenza degli “smallfoot”, ovvero gli esseri umani. Convinti a svelare il mistero, alcuni di loro si lanciano alla ricerca delle minuscole creature dai piccoli piedi, senza nemmeno immaginare cosa li attende. “Smallfoot – Il Mio Amico delle Nevi” – attualmente nelle sale italiane – è il quinto lungometraggio d’animazione della Warner Animation Group, dopo “The Lego Movie” (2014), “Cicogne in Missione” (2016), “Lego Batman” (2017) e “Lego Ninjago” (2017). Tra i suoi realizzatori, figurano i co-registi Karey Kirkpatrick e Jason Reisig – rispettivamente, co-autore de “La Gang del Bosco” (2006) e animatore in diverse pellicole –  e i produttori esecutivi Phil Lord e Chris Miller – che avevano firmato e prodotto “Piovono Polpette” (2009). Ricco di numeri musicali brillanti e, visivamente, convincenti, il film – che intende essere quanto mai contemporaneo e anticonformista – gioca tutto sullo stereotipo secondo cui gli esseri umani vedano gli yeti come dei mostri, riuscendo, in modo abile, a ribaltarlo. Chi sono i veri abominevoli uomini, quindi? La risposta degli autori si manifesta attraverso una morale edificante e un monito, rivolto sia ai bambini che agli adulti, che sostituisce la fantasia con la realtà: avvicinarsi sempre di più a chi è diverso da noi, senza aver il timore di non essere accettati o compresi. Altri aspetti stimolanti, dal punto di vista sociologico, riguardano le credenze pseudo-religiose – che, come in questa storia, possono portarci lontano dalla verità e necessitano di essere smontate (e smentite) – e l’avvento della tecnologia e dei social network – continui fomentatori della ricerca assoluta di popolarità per ogni individuo. “Smallfoot – Il Mio Amico delle Nevi” parte come una fiaba – dalle sfumature disneyane – e si conclude come tale, con un epilogo accomodante e utopistico; che, pur essendo surreale finanche per un cartone animato, ci riconduce, giustamente, ad un’irraggiungibile (?) utopia dell’umanità.  

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