Midsommar

Se una morte naturale è un lutto sempre enormemente difficile da elaborare, un omicidio-suicidio lo è ancora di più. Un dolore straziante, che porta con se un carico di rimorsi, rabbia e rancore.Se si sta parlando della famiglia, di una sorella e dei genitori, il fardello da portare potrebbe divenire insopportabile. E’ quello che accade a Dani e che viene descritto con una macabra puntualità nelle prime e dolorose scene del nuovo film di Ari Aster, regista dell’apprezzatissimo Hereditary, giudicato quasi universalmente come uno dei, se non IL miglior film horror del 2018, con una smisurata Toni Collette. Midsommar, questo è il titolo della nuova opera del regista americano, alle prese con il suo secondo lungometraggio dai contorni horror. Tre studenti di antropologia vengono invitati dal loro coinquilino a partecipare alla Festa di Mezza Estate nella comunità di cui fa anche parte la sua famiglia, residente in una remota regione nel nord della Svezia, dove in quel periodo il sole sparisce solo per poche ore. Dani, interpretata da una una Florence Pugh in forma splendida, viene indotta a partecipare a questa sorta di raduno spirituale, nonostante non sia propriamente ben vista del gruppo.Saranno i sensi di colpa di Christian, il suo boyfriend, che a seguito di una discussione che mette in luce la scarsa sensibilità verso la ragazza in piena e giustificata depressione,a fare in modo che possa essere accettata dalla compagine. Il viaggio sarà propedeutico per Dani, che realizzerà ben presto lo scopo della sua partecipazione, con una motivazione più potente e sicuramente più “risolutiva” rispetto anche all’elaborazione del lutto, comunque pesante, vivido, doloroso e onnipresente. Arrivati al villaggio, si scopre l’inedita volontà di Ari Aster, di cambiare completamente scenario, l’intenzione di stravolgere e sovvertire i canoni di un genere in cui si sta affermando con genialità ed estremo senso artistico. Usciti dalle claustrofobiche dimensioni di Hereditary, il nuovo espediente, è creare ansia e tensione, con la consapevolezza della luce di una luminosissima e in apparenza serenissima comunità svedese immersa nel verde, nella quale veniamo accolti da splendide fanciulle bionde con corone di fiori sul capo. Wow! E’ tutto molto bello, fin troppo. Tra canti, allegre danze e strani rituali, il regista comincia a rosolare lo spettatore a fuoco lentissimo, creando con il passare dei minuti, ma anche delle ore, una tensione palpabile, che farebbe presupporre l’imminente innesco esplosivo della violenza o del terrore vero, come tradizione horror comanda. In Midsommar non succede, è diverso; anche se l’eccesso di beltà e di sorrisi tende a confondere lo spettatore, è quasi impossibile nascondere il macabro inganno che subdolo attende i nostri forestieri, alle prese tra divertimenti e cerimoniali di usanza locale. La colonna sonora, incessante nell’orchestrare un perpetuo veleggiare di viole e violini, con il supporto dei fiati, è il primo complice, amico e poi nemico del nostro viaggio verso un epilogo che sigilla i tormenti del sentirsi incompresi, in un percorso quasi dantesco tra afflizione e redenzione. Midsommar è un respiro a pieni polmoni, nelle premesse enfatizzate da una regia e una fotografia di forte ispirazione classica, che si smorza con il lento incedere degli eventi, fino ad arrestarsi nelle scene finali, dove un sofisticato gioco delle parti suggella una sconcertante scoperta sul senso di ricerca della propria individualità e dall’altra parte, delle voglie stimolate dall’inconscio. Pur non mancando di inserti macabri ed intelligentemente gore, il film si allontana ancora di più dalla struttura classica da horror movie, al tal punto da uscire quasi dalla categoria, senza però riuscire a trovare una configurazione precisa, una etichetta. Sapete cosa vuol dire quando succede questo? Che siamo di fronte a un grandissimo film, ma che, proprio per i motivi sopra descritti e per la sua natura cosi provocatoria, può riferirsi a un pubblico maturo e consapevole, che vuole ammirare senza pregiudizi questo arioso dipinto di Ari Aster, il cui cuore tenebroso si cela dietro i colori tenui e rabbuianti dell’animo umano, e alle rarissime pennellate di rosso sangue.Non è chiaro come si possa concepire un film del genere, ma Ari Aster lo sa, e da oggi ha anche l’assurda consapevolezza di potervi turbare nei giorni di sole, prendendovi per mano per portarvi nel posto più bello del mondo e mettervi faccia e faccia con voi stessi in un dicotomico confronto tra il meglio e il peggio della vostra personalità, urlante di dolore e sorridente nel conforto.
Sublime a dire poco. 

Franz Guglielmo Severino

Mi chiamo Franz Guglielmo Severino, lavoro nel campo della grafica da diversi anni.
Vivo a Lugo (Ravenna) con un cane di nome Clay. Che amo. La mia più grande passione, unitamente al cinema (constatabile con una collezione di film in Blu Ray/4K di tutto rispetto) sono i videogiochi.
I miei registi preferiti sono Tarantino, Nolan, Shymalan, Spielberg, Fincher, e da qui dovrebbero essere anche implicitamente chiari i generi che prediligo :-)

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