Cosa dirà la gente

Il titolo originale del film è Hva vil folk si, un’espressione pakistana che sta ad intendere «una famiglia disonorata dal comportamento di uno dei suoi membri che non potrà più farsi guardare dalla gente».

Il timore del disonore, di ciò che la gente dirà, permea tutti i personaggi ed ogni loro scelta. L’unica eccezione è Nisha, la protagonista, una ragazzina sedicenne, tanto pakistana di origine quanto norvegese di mentalità. La ragazza, che esternamente vive nel modo libero e spensierato dei giovani occidentali, in casa deve obbedire alle regole rigide della tradizione musulmana. Il padre Mirza, che nutre nei suoi confronti una preferenza, si troverà di fronte ad un enorme dilemma la notte in cui Nisha invita nella sua stanza un ragazzo per cui ha una cotta. Mirza li sorprende e, anche senza che essi abbiano consumato, decide di impartire loro una punizione esemplare – grazie anche ai consigli di alcuni amici pakistani. Il ragazzo viene menato; Nisha viene portata contro la sua volontà in Pakistan a vivere con la famiglia del padre, un ambiente fatto di donne ostili e scarsa fisicità. Dopo vari tentativi di fuga e dopo svariati mesi, la ragazza si rassegna e accetta la corte del cugino, ma ulteriori vicende sfortunate costringeranno suo padre a venirsela a riprendere. Tutta la famiglia pakistana è stata svergognata dal comportamento di questa sciagurata ragazza.

La regista Iram Haq ha trovato il coraggio di raccontare la propria dolorosa esperienza in un film estremamente potente e sincero che parla di controllo sociale, dell’essere intrappolati in ciò che gli altri pensano e sentono e le conseguenze di questi pensieri sul singolo. Al tempo stesso è anche la storia tra un padre e una figlia in conflitto seguire le regole, mettere a tacere i suoi sentimenti nei confronti della figlia prediletta ma al tempo stesso la vede allontanarsi da sé verso una libertà che lui non può accettare né concepire, una libertà scandalosa.

Ciò che rimane è lo sguardo vuoto di Nisha che viene sballottata da una parte all’altra nella speranza che perda quel desiderio di libertà, quella voglia di conoscere e mescolarsi agli altri tipica della sua età.

Ciò che rimane è lo sconforto nel vedere figure femminili così dure e anaffettive per le quali non esiste una vera libertà e che sono pronte a sacrificare tutto in nome di una credibilità esteriore.

Rimane una profonda inquietudine per tutti coloro che perdono il coraggio di difendere “ciò che è” da “ciò che sembra.”

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Annamaria Pesaresi

Riminese di nascita, romana di adozione, dopo la laurea in Giurisprudenza ho viaggiato e scoperto la passione per la scrittura. A Settembre mi sono diplomata in Sceneggiatura presso la Roma Film Academy di Cinecittà. email : [email protected]

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