The shape of water

E’ lo spettacolo delle 23:00 di un freddissimo venerdì. Esco dalla sala che sono quasi le due del mattino, ma ho percepito quest’esperienza come fosse durata tutta la notte.

Il verbo vedere non risulta appropriato a quello che ho vissuto. The Shape of Water ti attraversa e ti sussurra con forza, direttamente all’anima, un messaggio di diversità e amore trasversale.
Sono uscito dalla sala piangendo lacrime dal sapore dolcissimo, rendendomi conto che non ero l’unico. Quello che più mi ha colpito guardandomi intorno, è che tutti sono usciti dal cinema sentendosi più vicini alla persona con cui erano. Al riaccendersi delle luci, quasi nessuno si muoveva, molti si stringevano per mano, altri si fissavano negli occhi come si fossero visti per la prima volta. Insomma, c’era un’ondata d’amore in quella sala. Sarà che l’emozione è ancora calda ma credo di aver vissuto l’opera più grandiosa che il cinema abbia mai espresso.

Queste le mi sensazioni a caldo.

Ora che sono passate alcune ore, posso scrivere con una maggiore lucidità, ma non posso fare a meno di dirvi che The shape of water, per quello che percepisco emozionalmente, sfiora l’essere un capolavoro.

I primi 3 minuti di film sono emblematici. Senza una sola battuta, riesce a concentrare una carica emotiva, abitudinaria ma straordinaria, erotica e descrittiva impareggiabile. E da subito si comprende che stiamo per assistere ad un’interpretazione di Sally Hawkins immensa. Dal suo stesso nome la costruzione della storia prende forma. Eliza Esposito. “Esposta” ergo orfana. Non ha nessuno, è sola e incompleta. Il suo amico abita alla porta affianco, e senza di lei forse morirebbe di fame. Anche lui è incompleto. E’ un illustratore pubblicitario che inesorabilmente viene soppiantato dalla fotografia nell’industria pubblicitaria. Ed entrambi vivono su di un cinema che è sempre vuoto o con pochissimi spettatori.

Eliza la incontri per strada e forse nemmeno la noti. Se la dovessi notare la percepisci insignificante. Ma qualcosa di non umano, di “diverso” sa guardare una persona per quello che è, e non per quello che gli manca.

Questa è la lettura che ho dato all’opera di Del Toro. Un inno alla diversità e a quanto essa sia l’unica via d’uscita, di salvezza e di pace per lo spirito umano, che normalmente è intrappolato nelle finte esigenze e negli stereotipi imposti in senso generale, dalla società “civile”.

L’abbandono di ogni imposizione fa, da un lato, riemergere anche un’istinto animale, ma da l’altro toglie le dighe che costruiamo alle nostre emozioni. E succede in questo laboratorio dove Eliza e Zelda sono addette alla pulizia. In una fase iniziale di guerra fredda, la politica tra URSS e USA porta a gareggiare in qualsiasi campo. La creatura che viene trovata porta a prendersi gioco dei selvaggi che la veneravano come divinità, portandogli cibo come dono, senza capire che questi “selvaggi” conoscevano bene questa creatura. Uno spaccato della società americana del tempo, si dirama in tutto il film,  come uno spot degli anni 50/60 inneggiante alla famigliola perfetta e sorridente.
Gli scienziati americani sono intenti alla conoscenza della creatura, ma Eliza la guarda, e la creatura guarda Eliza, e per la prima volta essa si sente accettata per come è.

La storia prosegue senza gli effetti sorpresa che ci si potrebbe aspettare. Il film non si basa sulla sorpresa. Tutto quello che succede, me lo aspettavo si dal primo fotogramma. Esso racconta, non sorprende, e lo fa quasi in silenzio, come Eliza, trasmettendo dei valori talmente tanto profondi da portarli fuori dallo schermo e trasferirli dentro di noi spettatori.
Tutto è diverso. Eliza è diversa, la creatura divina diversa da tutto ciò che sembra normale. Strickland è diverso da quello che dovrebbe essere nell’ottica perfetta dl modello americano, Dimitri è diverso perchè non solo smette di voler capire, ma vuole liberare qualcosa che percepisce come intelligente e superiore. E Giles lo è, in una società che negli anni 50 rigettava sia il colore diverso, e sia l’orientamento sessuale diversa.
E tutti questi “diversi” assieme innescano un’uragano emotivo di cui “la normalità”, imbrigliata nella “forma della materia” non conosce i battiti. La forma dell’acqua invece vive di emozioni e non di apparenze.

Ho rivisto in tutta l’opera richiami potentissimi ad altri film. Ovvio e lampante risulta “il mostro della laguna nera” del 1954. Ma rivedo nelle atmosfere che Eliza e Giles creano nella loro amicizia tanto “il favoloso mondo di Amelie”, dove Audrey Tatoo non proferiva parola ma urlava sogni dagli occhi, e come Giles, Raymond Dufayel (l’uomo di vetro), dipingeva. Ho rivisto nelle scene finali, le ambientazioni di Casablanca e Fronte del porto, e Plasentville anche gli ho visto far capolino nelle “avventure” familiari di Strickland. Ma nessun richiamo risulta copia. Tutto viene rielaborato in una storia che vive di una forza interiore superiore alle sue stesse ispirazioni.

E poi che dire del cast. Un’interpretazione sopra le possibilità umane della Sally Hawkins. Scelta perfetta per il ruolo. Non è quello che si definisce una bellezza da copertina, ma ha una carica erotica inimmaginabile e una personalità che nella sua discretezza risulta dominante. Tutto il cast si incastra in modo perfetto senza lasciare nessun spiraglio tra gli angoli. Perfezione assoluta. Ma nonostante questo si ha come la sensazione che la Hawkins possa brillare anche senza nessun altro attore al suo fianco.

E infine Gulliermo. Ma dico io… come hai fatto a raccontare questa storia, in questo modo, costruendo queste atmosfere. Sono sconvolto dalla capacità che ha avuto la tua opera, di trasmettere amore, tanto da farci alzare dalle poltroncine tutti innamorati.

A 48 ore dal film, sono più lucido e meno emotivamente scosso, ma il mio giudizio non muta. Magari non sarà al primo posto assoluto nella storia del cinema, ma almeno per me si siede tra i primi 5 senza timori reverenziali.

Massimo Impinto

Nato a Cercola, cresciuto tra la Penisola Sorrentina, la zona vesuviana e il Cilento, perito elettrotecnico, si innamora del mondo del web mentre agli inizi degli anni 90 frequentava gli studi di Giurisprudenza. Ha lavorato presso la Canon dove forma il suo background informatico. Dal 2008, dopo aver frequentato corsi di specializzazione, corona il suo vecchio sogno di lavorare come webmaster. Appassionato di Fumetti e Anime, ha coltivato da se una grande passione per la letteratura e gli studi umanistici, ma il suo amore incontrollabile è il cinema. Vivevo a Portici, che cinematograficamente ha anticipato i tempi. Quando i multisala non esistevano, Portici risultava il primo multisala al mondo, visto che in una cittadina di poco più di 4 km quadrati c'erano una decina di cinema. Le strade erano un caleidoscopio di locandine di film. Un sogno per un bambino e poi un ragazzino, che invece della paghetta chiedeva i biglietti per i film. Da me non vi aspettate critiche negative, perchè difficilmente ne faccio. Io vi descrivo le emozioni che provo nel vedere un'opera. email : [email protected]

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