Mirai

Che il cinema orientale non abbia gran mercato in Italia è cosa nota ai distributori e agli spettatori: i primi costretti a distribuzioni limitate causa timore di flop, i secondi costretti a “corse” in una manciata di cinema o al “post – recupero” in home video.

Ne è un nuovo esempio Mirai, l’ultima opera d’animazione del regista Mamoru Hosoda, costretta ad una programmazione di soli tre giorni (come quasi tutti i “cugini” anime), ma non s’intende aprire polemiche “vuote”, bensì analizzare questo bellissimo film.

L’autore si auto-cita (i ” font credits” iniziali de Summer Wars, I passaggi “fantasy” de The boy and the beast, I “piani sequenza” de Wolf Children e le gag comiche de La ragazza che saltava nel tempo) e, con il suo Studio Chizu, sorprende per un massiccio uso di colori caldi e la fluida animazione “tradizionale” unita a scenografie “tridimensionali” : i risultati sono ottimi (spettacolari gli ultimi minuti). Lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki ha fatto scuola e non stupirebbe se Hosoda prendesse le redini “spirituali” del maestro nipponico … eppure, fulcro della sua filmografia è la famiglia.

La sinossi riguarda il rapporto tra un bambino viziato e la sorellina neonata, ma lo svolgimento si evolve, pian piano, in un viaggio nelle radici “di sangue” tra più generazioni, con flashback e salti temporali e “spirituali”, necessari all’evoluzione del piccolo protagonista. In un mix di ironia e leggerezza, il regista, memore della propria esperienza di genitore, tratteggia perfettamente le ansie di un bimbo in età prescolare, continuamente bisognoso di dolori e sbagli per imparare ad essere una persona responsabile. La sua evoluzione ricorda quella di Pinocchio: come il burattino, il protagonista non impara, da un primo errore, ad essere migliore; deve continuare a cadere in nuove trappole (bisticci, piagnistei e dispetti), salvo poi “saltare nel tempo” (come Makoto ne La ragazza che saltava nel tempo) e nello “spazio “ per scontrarsi con “visioni” (parenti di epoche passate e future) che gli diano nuove e significative lezioni di vita.

Il messaggio di fondo non è così difficile: ad ogni azione corrisponde una conseguenza che può mutare per sempre un’esistenza; dimenticarlo vuol dire “perdersi” in un “limbo” … e quale miglior legame, se non quello con la famiglia (e con una sorella), può aiutare a ricordarci le nostre identità umane? E a diventare adulti (si spera) migliori?

 

Una piccola meraviglia che solo un bambino e un genitore esperto possono apprezzare, legata ad una narrazione semplice, ma non per questo senza profondità.

Non siamo dalle parti del capolavoro Wolf Children, ma pellicole simili andrebbero viste più spesso.

In famiglia e non.

Daniele Fedele

Mi chiamo Daniele FEDELE, ho ventisei anni e possiedo due lauree: una di fascia triennale in “Discipline delle Arti Visive, della Musica, dello Spettacolo e della Moda” e un’altra “completa” in “Scienze delle Arti Visive e della Produzione Multimediale”. Oltre ad un’esperienza come “addetto alla supervisione” presso la Biblioteca Comunale “Francesco Morlicchio” di Scafati (SA), dove risiedo, per un anno ho frequentato il Master di I livello in Cinema e Televisione presso l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, che mi ha consentito di iniziare un periodo di stage presso la MAD ENTERTAINMENT, che tanto ammiro per aver rilanciato l’animazione come genere e forma d’arte cinematografica in Italia. Seguo l’arte del cinema e dell’audiovisivo dall’età di sei anni, sono grande appassionato di tutto ciò che riguarda la settima arte, la musica, i videogiochi e in generale ogni elemento simile che colpisca ed arricchisca l’animo umano. Per quanto piena di ostacoli e sacrifici, non potrei cambiare la mia passione con nessun’altra: vivrei un’esistenza di stenti e rimpianti, in tutt’altro settore. Mi diletto anche nell’editing video da autodidatta e ambisco a diventare regista, sceneggiatore e/o montatore per l’audiovisivo. Per qualsiasi piattaforma. Tra i miei miti “cinematografici” ci sono: il mio “maestro spirituale” QUENTIN TARANTINO, che mi ha fatto comprendere di dover “vivere nella settima arte” e non solo “sfiorarla”, JOHN CARPENTER come “maestro dell’orrore umano”, STANLEY KUBRICK come “maestro della forma e sostanza”, SERGIO LEONE, DAVID CRONENBERG, TIM BURTON, GUILLERMO DEL TORO, NEILL BLOMKAMP, JAMES CAMERON, DAVID LYNCH, GASPAR NOE`, il Maestro HAYAO MIYAZAKI nell’ “animazione che scalda il cuore e arricchisce l’anima”, WALT DISNEY come “insegnante dei sogni”, ISAO TAKAHATA come “animatore neorealista” e altri ancora impossibili da elencare. Grande estimatore dello STUDIO GHIBLI e del PIXAR ANIMATION STUDIOS, che tanto mi ha fatto sognare con “TOY STORY” e piangere con “INSIDE OUT”. Tra i miei miti “sonori” ho ENNIO MORRICONE, HANS ZIMMER, gli M83, i DAFT PUNK, JOE HISAISHI, HOWARD SHORE e vari artisti delle colonne sonore quali NOBUO UEMATSU, la TOKYO PHILARMONIC ORCHESTRA e altri. E come non ammirare HYDEO KOJIMA per aver innalzato il media videoludico a “forma d’arte”? 

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