L’isola dei cani

Giappone, 2037. Sulla città di Megasaki si abbatte un’epidemia di “influenza canina” che minaccia di diffondersi anche tra gli esseri umani. Il sindaco Kobayashi pertanto stabilisce che tutti i cani debbano essere confinati su un’isola di rifiuti a largo della costa, affinché non contagino la popolazione. Ma qual è il vero motivo che si cela dietro questa decisione drastica?
Atari Kobayashi, figlio adottivo del sindaco, si ribellerà alla crudele direttiva per andare alla ricerca del suo fidato Spots, aiutato da Chief, Rex, King, Boss e Duke, cinque cani in esilio sull’isola. Riusciranno a trovarlo e a salvare i cani dell’isola?

Il secondo lungometraggio in stop-motion di Wes Anderson è un’intima, emozionante avventura in una terra ostile, ma dalla scenografia maniacalmente curata e “simmetrica”, marchio di fabbrica di Anderson. Visivamente il film è una vera opera d’arte: la stop-motion è la tecnica perfetta per un regista come Wes Anderson, perché permette il controllo dell’inquadratura fino al minimo dettaglio e si presta meravigliosamente al suo stile rigido e straniante.  Le ambientazioni, lungi dall’apparire futuristiche, hanno un gusto retrò molto ricercato, partendo dagli interni della città di Megasaki (sempre ingombri, chiusi, soffocanti) alle scene ambientate sull’isola dei cani, una discarica a cielo aperto incredibilmente ordinata e arredata, luminosa di giorno, colorata di notte.

In mezzo a tanti personaggi appena tratteggiati, che hanno lo scopo di arricchire il contesto più che di far parte della storia, i veri protagonisti sono Atari e lo scontroso randagio Chief, in un viaggio verso la comprensione e l’affetto reciproci.

Un po’ sotto la dolceamara storia de L’isola dei cani, nascosta sotto la pretestuosa e affascinante ambientazione nipponica, si avverte una forte connessione con Il piccolo principe di Antoine Saint-Exupery. Il giovane Atari, questo piccolo pilota alla ricerca del suo cane, finirà per stringere un nuovo legame in un viaggio che diventa parabola dell’addomesticamento, della necessità di rinunciare a una cruda e solitaria libertà per raggiungere la felicità.

L’isola dei cani è un film complesso, a suo modo grottesco nel contrasto tra l’estetica cartoonesca e la crudezza di alcune scene, ma allo stesso tempo delicato e un po’ ingenuo. E’ un’opera che viaggia su più binari indipendenti tra loro, alcuni più evidenti, altri nascosti, ma ognuno di questi contribuisce a renderla (se non sempre comprensibile) più ricca e intrigante.

Una piccola curiosità: in originale i personaggi sono doppiati tutti da attori del calibro di Bryan Cranston e Scarlett Johansson… date un’occhiata alla lista di doppiatori e vi verrà voglia di vederlo in originale.

Valentina Buggè

24 anni, disegnatrice compulsiva, negli ultimi anni la mia passione per il fumetto e l'animazione si è estesa al cinema in tutte le sue forme. Laureata in architettura, il mio sogno nel cassetto è specializzarmi in scenografia. Nel frattempo, divido le mie giornate (e quando serve le nottate) tra plastici, film e manuali di cinema email : [email protected]

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