Io c’è

Fortunato ereditiere del “Miracolo Italiano” un lussuoso bed and breakfast nel centro di Roma, Massimo (Edoardo Leo), messo alle strette dalla sua stessa cialtroneria, dalla crisi economica e dalla concorrenza sleale di “Sis†ers” – un ostello gestito da suore – è costretto a rimboccarsi le maniche per evitare di veder fallire la propria attività.

“Conosci il nemico come conosci te stesso.” scrisse il generale e filosofo cinese Sun Tzu nel suo “L’arte della guerra” e la stessa frase viene fatta coincidere, nel film, con la decisione di Massimo di indagare sui sempreverdi affari del concorrente che sembra non conoscere crisi. È in questo momento, dopo aver scoperto che l’asso nella manica dell’attività delle sorelle è l’esenzione dal pagamento delle tasse riservato ai luoghi di culto, che il giovane albergatore ha la sua ierofania, l’”illuminazione” che lo spingerà a fondare una nuova religione per non pagare le tasse e rilanciare il proprio bed and breakfast.

In questo modo, con lo “Ionismo”, un credo che pone l’individuo e la propria coscienza al centro di tutto, il regista Alessandro Aronadio, da un lato fa il verso alle varie religioni (ispirandosi anche, in alcuni punti, alla religione parodistica del pastafarianesimo) e dall’altro, in conclusione dell’opera, critica l’eccesso di solipsismo promosso da questo culto.

Il grande merito di Aronadio – insieme ad Edoardo Leo e Renato Sannio, gli altri due autori del soggetto – è quello di essere riuscito a maneggiare con cura il delicato tema della religione, giocandoci con ironia e occhio critico, senza mai risultare offensivo. Per riuscire in  questo difficile scopo, ad esempio, alla figura delle suore, che incarnano una religiosità corrotta e malsana, è stata contrapposta quella del “parroco buono” a cui lo stesso Massimo si rivolge più volte in cerca di risposte e sostegno.

Il film in ogni caso intrattiene e fa sorridere, ma dà anche numerosi spunti di riflessione che lo rendono una commedia ben riuscita nonostante qualche difettuccio: il film inizia con un ritmo incalzante, sparando una ad una le proprie cartucce in un’escalation scoppiettante nella quale narrazione e fotografia si intrecciano piacevolmente, ma, dopo la scarica iniziale di adrenalina, il ritmo è costretto a calare drasticamente per poi culminare in un finale confuso, abbozzato e leggermente deludente.

Nel finale vengono solo accennati nuovi spunti che il regista avrebbe potuto sciogliere meglio e con più cura, senza dare l’impressione – che invece prevale – di un finale frettoloso. Nelle ultime battute Aronadio ironizza infatti sulla follia generata da un’esasperazione del politicamente corretto, ma soprattutto, inaspettatamente, utilizza l’ultimo respiro della sua commedia per dare il colpo di grazia non solo alle religioni, ma anche a qualsiasi altra dottrina che venga eletta a verità assoluta, perfino la scienza.

Riassumendo: il film intrattiene, diverte e si lascia guardare con leggerezza grazie anche alla scelta stilistica del regista. Unico neo, i ritmi calanti che rendono evidente, già dalla metà del film, il graduale esaurimento dell’estro e della freschezza iniziali, dovuto – forse – a un po’ di inesperienza.

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