Euforia

Il nuovo film di Valeria Golino, con Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea e la partecipazione di Jasmine Trinca (la quale, dai titoli di testa, si evince essere un produttore associato) ed Isabella Ferrari.

È arduo riuscire a trovare le parole giuste per descrivere il secondo lungometraggio di Valeria Golino, regista.
Miele ed Euforia hanno pochi punti in comune, ad eccezione del modo di raccontare le fragilità di individui apparentemente infrangibili, fortunati e vitali, caratteristica della regista stessa, e del loro rapporto con la morte.

Per l’attrice partenopea l’Euforia è Matteo (Riccardo Scamarcio) e questo si evince già dalla prima scena del film. Pensiamoci. Chi può raccontare meglio l’euforia con gli occhi di un uomo che ha amato per tanti anni, se non la donna di quest’uomo? Ed è probabile che, se l’amore resta, quanto più si posa il ricordo, tanto più negli occhi dell’amato si intraveda un pò di quella euforia?

Credo di si; nonostante in un’intervista Scamarcio abbia raccontato che il ruolo non fosse suo sin dall’inizio e che, con un atteggiamento tipicamente femminile (e quindi assai verosimile), Valeria Golino abbia aspettato che il ruolo di Matteo si riflettesse nello specchio dell’attore andriese, senza imposizioni. Personalmente ci credo poco.

In ogni caso, la scelta non stride con il risultato del film, anzi lo riporta – assieme alla mente che l’ha partorito – in un’orbita assolutamente umana. 

Già dai titoli di testa si comprende quanto Euforia strizzi l’occhio al grande cinema italiano: la prima inquadratura è un piano sequenza con musica lirica in sottofondo. A me fa pensare a tanti film italiani. Poi piani strettissimi che quasi disorientano se si è seduti nelle prime file, la narrazione parte e lo spettatore si immerge nel mare della storia.

Si immerge, sì, perché per la regista “l’euforia è quella sensazione bella e pericolosa che coglie i subacquei a grandi profondità: sentirsi pienamente felici e totalmente liberi. È la sensazione a cui deve seguire l’immediata decisione della risalita prima che sia troppo tardi, prima di perdersi per sempre in profondità.”

Sensazione che conosce bene Ettore (Valerio Mastandrea) e che invece non vuol conoscere Matteo, preso com è dal frastuono della sua vita. Questi cerca, usando la legge dell’attrazione, di plasmare a sua immagine e somiglianza il fratello Ettore, completamente altro rispetto a lui. 

Lo spettatore, senza alcuna fatica, si immerge nel vortice delle loro vite e riesce a non schierarsi, a non patteggiare per nessuno dei due, restando incantato e testimone consapevole dell’intensità di un rapporto mai decollato. Per la serie meglio tardi che mai.

Vi è di più. I due protagonisti sono bravissimi a portare sul grande schermo il legame di sangue, più forte di ogni bieco rifiuto mentale.

 

Ci andiamo a far benedire con l’aereo privato.

Embè? Chi lo sa?

La Madonna! Lei sente e vede tutto…

Allora vedi che ci credi?

Naturalmente la trama del film è altra cosa, segue una logica talvolta prevedibile e mai costruita. Tutto è naturale, tutto è ciò che si vede. Istinti, pulsioni, reazioni.

I fanatici del lieto fine e della ciclicità delle storie resteranno delusi perché Valeria Golino non costruisce l’euforia linearmente ma sorprendentemente, come è la vita.

La regista napoletana parte da un assunto: se la bellezza salverà il mondo, l’euforia può salvare un essere umano.

Un film che riesce a smuovere l’imperscrutabilità di spettatori angosciati dalla propria concezione del tema portante della storia, la consapevolezza che le cose finiscano.

È vero, può sembrare molto malinconica, in realtà è un’opera euforica e piena di vita. Vera. Come lo sono le inquadrature che indagano i dettagli del volto di Matteo, Ettore, Elena e di quelli che incontrano nella loro vita.

Valeria Golino, dunque, ha la capacità di unire due diversità fisiche ed attoriali che si intonano in maniera esemplare. Come accostare nero e blu. C’è a chi non piace. Questione di gusti.

Marco per CINEdiRAPE 

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